La resistenza delle donne è stata anche uno scontro tra il silenzio e la voce, e la sua stessa storia, nel Dopoguerra, sprofonda in larga parte nell’oblio, come se la guerra di Liberazione fosse stata solo una faccenda di maschi in armi.
Benedetta Tobagi
La partecipazione delle donne alla Resistenza italiane come co-protagoniste accanto agli uomini è un fatto storico che non sempre ha avuto il giusto riconoscimento. Spesso le donne consideravano il contributo dato alla Liberazione d'Italia il proprio dovere.
Se durante la guerra le donne lavoravano, manifestavano e si impegnavano in diversi modi nella lotta, quando la libertà d'Italia fu ritrovata, tornarono a concentrare la propria attività per lo più in casa.
Per fortuna, le cose stanno cambiando, e grazie ad autrici come Benedetta Tobagi, che con la sua opera "La Resistenza delle donne" ha vinto anche il Premio Campiello nel 2023, la storia delle donne nella resistenza italiana sta finalmente venendo riconosciuta.
Se vuoi approfondire, puoi anche ascoltare questo podcast creato dall'autrice stessa:
Continua a leggere questa prima lezione di storia sul ruolo delle donne nella resistenza italiana e nella costituzione della Repubblica dopo la caduta della dittatura fascista.
Quante furono le donne partigiane?
Il numero delle donne che parteciparono alla Resistenza italiana è ampiamente sottostimato. Secondo l'ANPI, Associazione nazionali partigiani italiani:
mentre gli uomini riconosciuti ufficialmente come partigiani sono stati 150.000.
20.000 le patriote con funzioni di supporto e 70.000 in tutto le donne organizzate nei Gruppi di difesa. E nessun corso di storia o canto partigiano dà alle nostre donne il giusto peso!

Questo riconoscimento ufficiale di partigiano o partigiana veniva dato in base alla partecipazione alla lotta armata, con atti di guerriglia, sabotaggi e veri e propri scontri con i nazifascisti.
In un qualsiasi corso di storia online, si parla di Resistenza: se prendiamo la Resistenza per quel fenomeno di lotta diffusa in varie forme, armata, civile, passiva, allora si capisce come il ruolo delle donne sia stato fondamentale non solo nei 20 mesi propri della Resistenza, dall'8 settembre 1943 al 25 aprile 1945, ma fin dall'entrata in guerra dell'Italia.
Cosa facevano le donne partigiane e che ruolo avevano nella Resistenza?
Nel periodo fascista (1922-1943), le donne furono relegate al ruolo tradizionale di madri e mogli, curatrici della casa, ma quando Mussolini proclamò l'entrata in guerra a fianco della Germania, il 10 giugno 1940, furono proprio queste donne a prendere il posto di mariti e figli nelle fabbriche, nei lavori più duri nei campi.

Le sconfitte subite dall'Italia in Nord Africa e nel Mediterraneo, e l'arrivo degli anglo-americani nel Sud Italia con l'emblematico sbarco in Sicilia, spinsero il Re Vittorio Emanuele III a convocare il Gran Consiglio del Fascismo che esautorò Mussolini nel luglio del 1943.
Pochi mesi dopo, l'8 settembre 1943, veniva dato l'annuncio dell'armistizio che in realtà fu una resa incondizionata dell'Italia. Gli alleati a Sud cercavano di salire verso Nord, dove si erano arroccate le truppe tedesche dietro la linea difensiva chiamata Linea Gotica. I fascisti fedeli a Mussolini si rifugiarono a Salò, sul lago di Garda, dando vita alla Repubblica sociale italiana.
Proprio dall'armistizio in poi iniziò la Resistenza a cui le donne presero immediatamente parte.
Secondo l'ANPI e diverse testimonianze tra cui quella lasciata dal documentario di Liliana Cavani, La donna nella Resistenza, del 1965, le donne parteciparono in ogni aspetto della Resistenza:
- lotta armata
- lavoro di informazione
- trasporti di armi e munizioni
- propaganda e stampa
- supporto ai feriti
- approvvigionamento e collegamento
Il fatto che le donne non fossero costrette alla leva, dava loro una maggiore possibilità di movimento. Nonostante subissero violenze e soprusi, anche le più giovani si impegnarono con ogni mezzo, per far arrivare ciò che serviva, dalle armi alle informazioni, per offrire supporto e cura e per combattere nascoste sulle montagne come partigiane o nei gruppi di azione in città.
I contributi principali delle donne alla Resistenza italiana possono essere racchiusi in tre pilastri: resistenza civile, lavoro di intelligence e difesa armata.
I gruppi di autodifesa della Donna
Le nostre lezioni di storia contemporanea continuano, parlando del primo gruppo di autodifesa della donna e per l'assistenza ai combattenti della libertà, GDD: nasce a Milano nel novembre del 1943 per iniziativa di un gruppo di sette donne di tre partiti: Partito socialista, Partito comunista e Partito d'azione (Fonte: Laura Orlandini, Fondazione Nilde Iotti).
L'idea era quella di creare un'organizzazione capillare per coordinare le donne nel lavoro di resistenza non armata al nazifascismo con una struttura e uno statuto ben specifico. L'obiettivo generale era:
"Organizzare la donna per le conquiste dei propri diritti, come donna, come italiana, nel quadro della lotta che tutto il popolo conduce per la liberazione della patria".
I primi GDD si diffusero nelle fabbriche, spingendo per migliori condizioni di lavoro, protezione delle donne ed emancipazione. Ben presto, questa rete organizzata di donne si estese inglobando circa 40.000 iscritte.

I GDD coordinavano le donne iscritte e non, insegnando loro in che modo potevano contribuire alla Resistenza: protezione e campagne di solidarietà ai partigiani, scioperi per boicottare la produzione industriale che alimentavano la guerra, manifestazioni contro i rastrellamenti nazisti.
I GDD avevano struttura piramidale a livello locale e regionale e furono il primo grande esperimento di gestione e organizzazione politica della donna per l'affermazione dei diritti e la solidarietà. Nilde Iotti fu a capo di un GDD, membro dell'Assemblea costituente, la prima donna a ricoprire la carica di Presidente della Camera e in lista come Presidente del Consiglio e Capo dello Stato.
Nell'agosto del 1944, il Comitato di liberazione nazionale, CLN, riconobbe i GDD come parte della resistenza al nazifascismo.
Alla fine della guerra però, il contributo delle partigiane fu praticamente taciuto e solo negli anni '60, con la ripresa delle lotte per l'emancipazione femminile, si riconobbe il ruolo fondamentale dei GDD.
Staffette partigiane
La staffetta era un membro non armato dei partigiani, uomo o donna che sia, ed era incaricata di portare messaggi, munizioni, approvvigionamenti, informazioni sul nemico, percorrendo chilometri in biciletta, a piedi o su carri di bestiame.
Essendo un civile insospettabile, la staffetta aveva anche il compito delicato di aprire la strada ai partigiani, superando posti di blocco e dando il via alle operazioni sovversive.

Il ruolo delle staffette era essenziale per aiutare le brigate partigiane a coordinarsi. Come raccontato nei libri sulla Resistenza di Beppe Fenoglio, i partigiani rimanevano nascoste sulle zone montuose e separate tra loro per sopravvivere ai rastrellamenti nazifascisti.
Le testimonianze raccolte da Marina Addis Saba nel suo libro Partigiane - le donne della resistenza, parlano di atti eroici, di resistenza quotidiana, ma anche di sofferenze dovute a torture, violenze, deportazioni.
Le staffette sono le poche partigiane a sfilare alla festa di liberazione a Milano, ma al braccio, ricorda Marina Addis Saba, portano il simbolo delle infermiere, come a voler coprire il loro ruolo di combattenti in ambito logistico e oggi diremmo di intelligence.
Donne nei gruppi GAP e SAP
Il valore militare è stato riconosciuto solamente a 19 partigiane, tra cui Irma Bandiera, catturata e uccisa dopo giorni di trattamenti disumani da parte dei fascisti.
Una medaglia militare andò anche a Carla Capponi, membro della resistenza romana che guidò l'attentato a via Rossella contro i soldati tedeschi. La rappresaglia che ne seguì, colpì indiscriminatamente i civili con l'eccidio delle Fosse ardeatine.
Carla Capponi, nel su libro Cuore di donna, racconta l'esperienza come capo di un GAP, gruppo di azione patriottica, che combatteva con atti di sabotaggio all'interno delle città. Dovette combattere anche contro la discriminazione dei compagni partigiani che non volevano che le donne portassero le armi. per procurarsi una pistola Carla Capponi dovette rubarla a un soldato tedesco su un autobus, e anche così i compagni non smisero di osteggiare il suo possesso di armi.
I GAP erano formati da quattro o cinque membri che, a differenza dei partigiani delle zone montuose, dovevano condurre una vita apparentemente normale, per poter colpire le forze nazifasciste dalle città.
Le SAP erano squadre di azione patriottica che inizialmente lavorano per la propaganda e nel preparare i cittadini comuni all'insurrezione popolare. Poi presero sempre più funzioni logistiche e di addestramento di nuovi partigiani, pronti per sostituire i partigiani feriti o caduti delle brigate che si nascondevano in montagna.
Oltre a prendere parte alle GAP e SAP nelle città, le donne si arruolarono anche nelle brigate partigiane nelle zone montuose, imbracciando le armi.
Donne partigiane famose
Un po' le abbiamo nominate sopra, le donne partigiane di cui si è sentito più parlare sono Carca Capponi e Irma Bandiera. Oltre a loro ci sono tantissime altre donne partigiane, tra cui:
- Nilde Iotti: staffetta partigiana e, in seguito, prima donna Presidente della Camera dei Deputati
- Gina Galeotti Bianchi, il suo ome di battaglia era Lia. È stata membri dei Gruppi di Difesa della Donna (GDD). Fu uccisa il 25 aprile 1945, poche ore prima della liberazione di Milano.
- Teresa Mattei: la più giovane eletta all’Assemblea Costituente. Staffetta partigiana, il suo nome di battaglia era "Chicchi".
- Ada Gobetti: giornalista e traduttrice è anche stata staffetta partigiana e Fondatrice dei Gruppi di Difesa della Donna, insieme a Maria Bronzo Negarville, Irma Zampini, Medea Molinari, e Anna Rosa Gallesio
- Laura Bianchini: insegnante, una delle 21 donne elette nel 1946 all'Assemblea Costituente Italiana
- Maria Maddalena Rossi: nata da una famiglia antifascista, attiva nel Partito Comunista clandestino in Italia dagli anni '30, anche lei viene eletta nel 1946 all'Assemblea Costituente Italiana
L'elenco ovviamente non finisce qui, le donne che hanno partecipato alla Resistenza sono tante e spesso restano senza nome nei libri di storia, persino nei libri sulla Resistenza stessa.
Resistenza taciuta ed emancipazione
La Resistenza taciuta - Dodici vite di partigiane piemontesi è un libro di Anna Maria Bruzzone e Rachele Farina, ma è anche la frase che più identifica il silenzio sul ruolo delle donne alla Resistenza.
Alle diverse sfilate per la Liberazione d'Italia e a ogni festeggiamento del 25 aprile, le donne non partecipano come protagoniste, ma come spettatrici. Anche quando erano in prima fila come partigiane, la rappresentanza era davvero esigua e quasi sempre calata nel ruolo di cura e non di combattente.

Dopo la guerra, poche o quasi nessuna si presentò come partigiana, e ancora meno furono quelle che parlarono dell'esperienza vissuta, dei sacrifici, delle ferite che hanno condiviso con i compagni.
Già durante la Resistenza, alcuni partigiani non vedevano di buon occhio la partecipazione femminile, men che meno armata. Dopo la liberazione, la casa tornò a essere il luogo centrale della vita delle donne, e non le fabbriche, le colline delle Langhe o le piazze.
Il silenzio imposto dal sistema patriarcale venne interiorizzato dalle donne, pronte a ricostruire dalle mura domestiche un paese in macerie. Con la Resistenza, però, qualcosa era cambiato.
Il 2 giugno 1946 le donne votarono per la prima volta per scegliere tra la Monarchia e la Repubblica ed eleggere i membri dell'Assemblea Costituente. L'art. 3 della Costituzione si deve proprio all'impulso delle donne impegnate dei GDD, ex partigiane:
"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali."
Il silenzio sulle donne nella Resistenza italiana venne definitivamente rotto a metà degli anni '60 con le storie non del contributo ma del ruolo indispensabile che hanno dato a ogni forma di lotta: civile, militare, sociale.
Il '68 portò a un passo avanti nel percorso di emancipazione che ha preso impulso dalle necessità della guerra e dalle convinzioni politiche che l'esperienza della Resistenza ha fatto maturare nelle partigiane.
Le donne hanno avuto un ruolo cruciale nella Resistenza, anche se la storia inizialmente non glielo ha mai attribuito! Continuiamo a diffondere, raccontare, condividere, rendere visibile ciò che è stato reso invisibile.
Conoscevi il ruolo delle donne nella resistenza?









