La storia del femminismo ha ormai radici plurisecolari ed è caratterizzato da un’estrema ricchezza e complessità.
Tra le innumerevoli istanze del femminismo contemporaneo senza dubbio quella più pressante, innovativa e sfidante è quella legata all’intersezionalità.
Nella teoria femminista, l’intersezionalità si occupa di esaminare il modo in cui le esperienze complesse e stratificate delle donne contribuiscano alla disuguaglianza di genere. Ad esempio, una donna della classe operaia potrà trovarsi a sperimentare l’oppressione in due modi, ossia in quanto donna e in quanto appartenente alla classe operaia.
Ulteriore oppressione potrebbe aggiungersi nel caso in cui una donna appartenga a una minoranza etnica o religiosa o nel caso in cui sia disabile oppure omosessuale. Ciascuna di queste caratteristiche individuali o appartenenze modella l’identità della persona e può farle sperimentare disuguaglianze specifiche e uniche.
Le femministe intersezionali rifiutano per queste ragioni l’idea che tutte le donne sperimentino l’oppressione e la disuguaglianza di genere in modo omogeneo e sostengono che il femminismo storico abbia condotto le proprie battaglie basandosi su un’idea di universalità dell’oppressione delle donne incentrata però sulle esperienze (limitate e relative) delle donne bianche occidentali della classe media.
Scopriamo in questo articolo la storia, le caratteristiche e le sfide poste dal pensiero femminista intersezionale nel contesto del movimento delle donne contemporaneo.
Femminismo intersezionale: una definizione
Con il termine intersezionalità si intende un quadro analitico sociologico che si occupa delle modalità in cui le identità sociali e politiche degli individui si traducano in combinazioni specifiche di discriminazione e di privilegio.

Esempi di questi fattori includono genere, sesso, etnia, orientamento sessualità, classe, religione, disabilità, altezza, età, peso e aspetto fisico.
Queste caratteristiche individuali e identità sociali si intrecciano e si sovrappongono, e possono in alcuni casi conferire potere e in altri invece generare oppressione. Attualmente non disponiamo, però, di una sufficiente quantità di studi a supporto dell’effettiva validità pratica dell’intersezionalità.
Il femminismo intersezionale amplia la portata della prima e della seconda ondata del femminismo storico, che si concentrava principalmente sulle esperienze delle donne bianche, della classe media e cisgender, e cerca dunque di includere le diverse esperienze delle donne razzializzate, delle donne povere, delle donne immigrate, e delle donne appartenenti alle minoranze.
La storia del femminismo intersezionale
Il termine intersezionalità è stato introdotto nel campo degli studi giuridici dalla studiosa femminista nera Kimberlé Crenshaw, che ha utilizzato il termine in un alcuni suoi saggi pubblicati nel 1989 e nel 1991.

Crenshaw descrive come diversi sistemi di potere interconnessi influenzino coloro che sono più emarginati nella società. L’intersezionalità dunque si oppone a quei sistemi di analisi sociale che trattano ciascun asse di oppressione in modo isolato, fallendo in tal senso nel fornire un quadro complesso dei fenomeni discriminatori e oppressivi subiti dalle donne.
In questo quadro, ad esempio, la discriminazione contro le donne nere non può essere spiegata come una semplice combinazione di misoginia e razzismo, ma come qualcosa di ancora più complesso. L’intersezionalità si impegna dunque a mostrare l’esistenza in molti casi di una molteplice oppressione: una donna di colore povera e immigrata subirà dunque una triplice oppressione.
L'intersezionalità mostra quindi come colore della pelle, genere e molte altre componenti identitarie di ciascuna donna si "intreccino" per modellarne le esperienze di vita e spesso creando “strati” di oppressione peculiari e specifici.
Tutto ciò potrebbe essere affrontato anche durante una lezione filosofia!
Oltre a Kimberlé Crenshaw, che ha coniato il termine intersezionalità, ci sono molte altre femministe intersezionali degne di nota.

Una di queste è Angela Davis, che ha proposto alcuni concetti chiave del femminismo intersezionale nel suo libro “Donne, razza e classe”, ben prima che fosse coniato il termine “intersezionalità”.
Nel suo libro del 1981 infatti Davis considera come le donne nere siano state oppresse in quanto nere, donne e appartenenti a una classe sociale inferiore.
Anche Audre Lorde ha anche contribuito alla visione femminista intersezionale sostenendo che le identità delle donne erano troppo complesse e le loro esperienze troppo diverse per un unico programma sociale ed educativo femminista. Lorde si definiva una “nera, lesbica, madre, guerriera, poetessa”, abbracciando le sue identità in modo intersezionale.
Campi di applicazione dell’intersezionalità
Crenshaw si è battuta contro il fenomeno della violenza sulle minoranze sui luoghi di lavoro e nella società e ha messo in luce le dinamiche di oppressione nell’ambito del mondo accademico.

L'intersezionalità è infatti stata applicata in molti campi, dalla politica al mondo del lavoro, dall'istruzione al mondo dell'assistenza sanitaria sino all'economia.
Prendiamo come esempio il mondo dell’istruzione: una studiosa, Sandra Jones, ha preso in analisi la condizione delle donne della classe operaia nel mondo accademico, svelando i meccanismi che ne minano la possibilità di una reale realizzazione, mettendo in luce le difficoltà da loro incontrate.
Inoltre, secondo Jones, le persone nere o razzializzate spesso sperimentano un trattamento diverso nel sistema sanitario. Ad esempio alcuni ricercatori hanno notato che nel periodo immediatamente successivo all'11 settembre 2001 i tassi di natalità tra i musulmani e gli arabi americani diminuirono, e i bambini nati presentavano indici di salute più bassi rispetto alla media, risultati che sono stati messi in relazione alla crescente discriminazione razziale e religiosa dell'epoca.
Alcuni ricercatori, come esposto in tutti i corsi di filosofia online, hanno sostenuto che anche le politiche migratorie possono influenzare in modo significativo i risultati relativi alle condizioni generali dei pazienti immigrati, a causa dello stress generato dalla situazione di marginalità e soprattutto a causa delle restrizioni all’accesso all’assistenza sanitaria.
Le critiche rivolte al femminismo intersezionale
Sebbene il femminismo intersezionale cerchi di evitare di collocare le donne in “scatole” di identità separate tra loro, tende comunque a collocare le persone in categorie. Sebbene i gruppi possano essere più complessi, l’intersezionalità raggruppa comunque le persone in base a indicatori di identità, ad esempio donne nere o donne disabili.
Pertanto il femminismo intersezionale potrebbe correre il rischio di sottovalutare che ogni donna abbia sempre e comunque un’esperienza di vita unica e specifica, e probabilmente ci sarebbe un numero infinito di caratteristiche che separano le donne in gruppi sempre più piccoli fino a creare gruppi così specifici da non riguardare più una globalità di persone e al contempo rischiando di non rappresentare più nessuno davvero.
Forse l’esperienza sociale di ognuno è così unica che non può essere classificata in modo così semplice e meccanicistico.
La studiosa Lisa Downing ha sostenuto che l’intersezionalità si concentra troppo sulle identità di gruppo, e ciò può portare a ignorare il fatto che le persone sono individui, non solo membri di una classe.Ignorare questo aspetto può far sì che l'intersezionalità porti ad un'analisi semplicistica e alla formulazione di ipotesi imprecise su come vengono determinati i valori e gli atteggiamenti di una persona.
Alcuni conservatori affermano invece che l’analisi intersezionale porti le persone nere, per esempio, a vittimizzare se stesse e di richiedere, in virtù di tale visione falsata di sé, un trattamento “speciale”.
Un celebre commentatore politico americano, Ben Shapiro, noto per le sue posizioni conservatrici e di destra, in relazione al tema dell’intersezionalità, ha affermato:
"Definirei l'intersezionalità come, almeno nel modo in cui l'ho vista manifestarsi nei campus universitari e in gran parte della sinistra politica, come una gerarchia di vittimismo in cui le persone sono considerate membri di una classe di vittime in virtù dell'appartenenza a un determinato gruppo, e all'incrocio dei vari gruppi si trova l'ascesa nella gerarchia».
Strategie per un femminismo più inclusivo
Ponendo al centro della visione e della lotta femminista solamente il genere, trascurando l’impatto del colore della pelle, della classe sociale, della cultura di appartenenza, dell’imperialismo e della religione si rischia di non portare avanti una battaglia davvero efficace e inclusiva di tutte le istanze che determinano i fenomeni di oppressione e discriminazione femminile.

Per avere un approccio maggiormente intersezionale è fondamentale studiare la storia del movimento in una nuova ottica, impegnandosi a riconoscere e a evidenziare il ruolo svolto dalle femministe non bianche nel portare avanti l’obiettivo dell’uguaglianza di genere, ampliando la nostra prospettiva e tenendo conto delle diversità ancora oggi esistenti.
In secondo luogo, il femminismo storico della seconda ondata si è mostrato nel tempo poco attrezzato a comprendere la complessità delle esperienze delle donne di tutto il mondo, pertanto il femminismo intersezionale si sta impegnando nel sostenere le voci delle donne appartenenti alle minoranze, alle donne non bianche e alle donne appartenenti a culture non maggioritarie (in riferimento, ovviamente, ai movimenti femministi del cosidetto “mondo occidentale”).
L’intersezionalità chiede a tutte e tutti di imparare dalle storie e dai vissuti di tutte le donne, e in questo il mondo del web può essere di grande aiuto, mostrandosi alleati nel cercare di superare gli ostacoli e le oppressioni multiple subite dalle donne non bianche e/o appartenenti a minoranze di vario genere.









