Giovanni Boccaccio è stato uno scrittore, poeta e umanista italiano, ed è senza dubbio una delle figure più importanti nel panorama letterario europeo del Trecento. Autore poliedrico capace di fondere tendenze e generi letterari diversi, facendoli convergere in opere originali, Boccaccio è considerato uno dei padri della nascente letteratura italiana, insieme a Dante Alighieri, ad Ariosto col suo Orlando Furioso e a Torquato Tasso.
Il Decameron, celebre raccolta di novelle, è senza dubbio la sua opera più celebre e influente: nei secoli successivi costituirà un caposaldo della tradizione letteraria italiana, soprattutto dopo che Pietro Bembo elevò lo stile boccacciano a modello per tutta la produzione in prosa del Cinquecento italiano.
Boccaccio ha scritto la sua opera più celebre in volgare toscano, ed è generalmente ricordato per i suoi dialoghi realistici che differivano da quelli dei suoi contemporanei medievali, i quali erano soliti seguire modelli formali per il personaggio e la trama.
Boccaccio è ricordato per essere stato uno dei precursori dell'umanesimo, del quale contribuì a porre le basi nella città di Firenze insieme all'amico e maestro Petrarca. Fu inoltre lui l'iniziatore della critica e della filologia dantesca: Boccaccio si dedicò alla copiatura dei codici della Divina Commedia e fu promotore dell'opera e della figura di Dante.
L'influenza delle opere di Boccaccio non si limitò alla scena culturale italiana ma si estese al resto d'Europa, esercitando influenza su autori come Geoffrey Chaucer, Miguel de Cervantes e sul teatro classico spagnolo. Nel Novecento il suo Decamerone è stato inoltre trasposto sul grande schermo dal regista e scrittore Pier Paolo Pasolini.
Scopriamo insieme la vita e le opere di Giovanni Boccaccio!
Gli anni giovanili di Boccaccio
Cercasi insegnanti di italiano per parlarci del Boccaccio. Era figlio di un commerciante toscano, Boccaccio di Chellino (detto Boccaccino), e di madre probabilmente francese. Il giovane trascorse la sua infanzia- piuttosto infelice - a Firenze.

Suo padre infatti non aveva simpatia per le inclinazioni letterarie di Boccaccio e lo mandò, intorno al 1328, a Napoli per fare esperienza nel mondo degli affari, probabilmente in un ufficio dei Bardi, che dominavano la corte di Napoli attraverso i loro prestiti.
In questo contesto Boccaccio ebbe modo di entrare in contatto con l'aristocrazia e con il mondo commerciale, e con quanto sopravvisse dei fasti della cavalleria cortese e del feudalesimo.
Nello stesso periodo il giovane Boccaccio studiò anche diritto canonico e conobbe molti dotti di corte e gli innumerevoli amici e ammiratori di Francesco Petrarca, attraverso i quali ne conobbe l'opera, rimanendone profondamente colpito.
Gli anni napoletani furono anche il periodo dell'amore di Boccaccio per Fiammetta, la quale domina tutta la l’attività letteraria dell’autore fino al Decameron, in cui compare una Fiammetta il cui carattere ricorda da vicino quello della Fiammetta delle opere precedenti.
Gli innumerevoli tentativi di identificare la Fiammetta delle sue opere con una presunta Maria, figlia di re Roberto e moglie di un conte d'Aquino, sono inaffidabili, tanto più che non esiste alcuna prova documentale che questa famigerata Maria sia mai esistita.
Le prime opere
Continuiamo il nostro corso italiano monografico. Con grande probabilità nel 1340 Boccaccio fu richiamato a Firenze dal padre, il quale era stato coinvolto nel fallimento dell’attività dei Bardi. Finì così il periodo “protetto” della sua vita: da quel momento in poi ci sarebbero state solo difficoltà e periodi di povertà.
Da Napoli, però, il giovane Boccaccio portò con sé un bagaglio di opere letterarie già compiuto. La caccia di Diana, la sua prima opera, un breve poema in terza rima, è tuttavia considerata dalla critica di scarso pregio.

Molto più importanti sono due opere con tematiche tratte da romanzi medievali:
- Il Filostrato, un breve poema in ottava rima che racconta la storia di Troilo e dell'infedele Criseida
- Il Filocolo, un'opera in prosa in cinque libri sugli amori e le avventure di Florio e Biancofiore
- La Teseida (probabilmente iniziata a Napoli - che come per Giacomo Leopardi fu una città importantissima -e terminata a Firenze), un'ambiziosa epopea di 12 canti in ottava rima in cui le guerre di Teseo fanno da sfondo all'amore di due amici, Arcita e Palemone, per la stessa donna, Emilia, che Arcita vincerà in un torneo per poi morire subito dopo.
I temi della cavalleria e dell'amor cortese erano da tempo celebri e molto amati negli ambienti di corte, ma Boccaccio li arricchì con la sua acuta capacità di osservazione della vita reale, cercando di presentarli con grande sfoggio di cultura e utilizzando molte figure retoriche, così da rendere il suo italiano così “elevato” da diventare degno di essere accostato ai monumenti della letteratura latina.
Fu proprio Boccaccio, inoltre, a donare dignità all'ottava rima, il metro dei menestrelli popolari, che diventerà il metro caratteristico della poesia italiana successiva.
I primi lavori di Boccaccio ebbero un impatto immediato fuori dall'Italia: Geoffrey Chaucer trasse ispirazione per il suo Knight's Tale in The Canterbury Tales.
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Gli anni della maturità artistica
Il decennio successivo al ritorno di Boccaccio a Firenze costituisce il periodo della sua piena maturità, culminante nel suo capolavoro, il Decamerone.
Dal 1341 al 1345 Boccaccio lavorò a Il ninfale d'Ameto, all'Amorosa visione, alla celebre Elegia di Madonna Fiammetta e al poema Il ninfale fiesolano. Boccaccio fu dunque un autore prolifico, sia di opere in prosa che di componimenti poetici, non tutti di livello eccelso ma sempre assolutamente godibili.
In questo periodo Boccaccio cercò incessantemente di mettere ordine nelle sue finanze, ma non ci riuscì mai completamente. Poco si sa, invece, dei particolari della sua vita privata nel periodo successivo al suo ritorno a Firenze. Visse a Ravenna tra il 1345 e il 1346, poi a Forlì nel 1347, per poi tornare a Firenze durante le devastazioni della peste nera del 1348.
Il Decameron
Gli anni compresi tra il1348 e il 1353 videro Boccaccio impegnato nella redazione del Decameron nella forma in cui oggi è conosciuta. Quest’opera è considerata il suo capolavoro, e stilisticamente rappresenta l'esempio più perfetto di prosa classica italiana, ma non solo: la sua influenza sulla letteratura rinascimentale in tutta Europa fu enorme.

In quegli anni Boccaccio fu nominato ambasciatore presso i signori di Romagna nel 1350, consigliere comunale e ambasciatore presso il duca di Baviera e ambasciatore presso papa Innocenzo VI nel 1354.
Di grande importanza fu il primo incontro di Boccaccio con Petrarca, a Firenze nel 1350, che contribuì a determinare un cambiamento decisivo nell'attività letteraria di Boccaccio. Boccaccio venerava l'anziano Petrarca, che si dimostrò consigliere sereno e aiutante affidabile. Insieme, attraverso lo scambio di libri, notizie e idee, gettarono le basi per la riconquista umanistica dell'antichità classica.
Struttura e tematiche
Il Decameron inizia con la fuga di dieci giovani (sette donne e tre uomini) dalla Firenze colpita dalla peste del 1348. I giovani si ritirano in una residenza di campagna, dove, nel corso di quindici giorni, ogni membro del gruppo svolge il ruolo di re o regina, ricoprendo il compito di decidere nei dettagli come trascorrere la giornata e dirigendo le loro piacevoli passeggiate, le loro conversazioni all'aperto, i loro balli e canti e, soprattutto, offrendo i propri racconti.
Questi racconti occupano dieci giorni della quindicina (i restanti sono riservati alla poesia o alle devozioni religiose): da qui il titolo del libro stesso, Decameron, ossia "Dieci giorni/(Opera di) dieci giorni". Le storie ammontano così a cento in tutto.
Ciascuna delle giornate, inoltre, si conclude con una canzone da ballo cantata da uno dei cantastorie, e queste canzoni includono alcune delle più belle liriche di Boccaccio. Oltre alle cento storie, Boccaccio intesse inoltre un tema principale che attraversa tutta l’opera, ovvero il modo di vivere della raffinata borghesia, che univa il rispetto delle convenzioni a un atteggiamento aperto nei confronti dei comportamenti individuali.
I toni cupi dei brani iniziali del libro, in cui la peste e il caos morale e sociale che l'accompagnano sono descritti in maniera magnifica, sono in netto contrasto con la scintillante vivacità del Giorno I, trascorso quasi interamente in argute dispute, e all'atmosfera giocosa dell'intrigo che caratterizza i racconti di avventura o inganno raccontati nelle Giorni II e III.
Con Il Giorno IV e le sue storie d'amore infelice torna la nota cupa, ma il Giorno V apporta un certo sollievo, anche se non dissipa del tutto l'eco della solennità, dando un lieto fine a storie d'amore che all'inizio non scorrono lisce.
Il Giorno VI reintroduce l'allegria del Giorno I e costituisce l'ouverture della grande narrazione comica, i Giorni VII, VIII e IX, che sono dedicati al riso, all'inganno e alla licenziosità. Infine, nel giorno X, tutti i temi dei giorni precedenti sono portati a un tono alto, l'impuro reso puro e il comune reso eroico.
Stile dell’opera
Le prefazioni alle giornate e alle singole storie e certi passaggi di particolare magnificenza sono basati su modelli classici, con il loro vocabolario raffinato e i periodi elaborati. Queste caratteristiche hanno attirato sin da subito l'attenzione della critica. Ma c'è anche un altro Boccaccio: il maestro della parola parlata e della narrazione rapida, vivida, tesa, libera dall’eccesso dell'ornamento. Questi due aspetti del Decameron ne fecero la fonte della prosa letteraria italiana per i secoli successivi.
L'influente critico De Sanctis considerò il Decameron una "commedia umana", superamento della “commedia divina”di Dante, e Boccaccio come il pioniere di un nuovo ordine morale che sostituiva quello del Medioevo europeo. Questo punto di vista non è più sostenibile, tuttavia, poiché il Medioevo non può più essere presentato come interamente ascetico o interamente interessato a Dio e alla salvezza celeste in contrasto con un Rinascimento interessato solo all'umano.

Va inoltre sottolineato come l'intero corpus dell'opera di Boccaccio sia nella sua essenza profondamente medievale, per tematiche, forme letterarie e gusto.
Fu sicuramente lo spirito con cui Boccaccio trattò i suoi soggetti e le sue forme letterarie a rappresentare una grande novità. Per la prima volta nel Medioevo, per esempio, Boccaccio scelse di mostrare l'uomo in lotta con la fortuna, capace anche di vincerla. Nel Decameron l'uomo deve accettare la vita così com'è, senza amarezza, imparando soprattutto ad accettare le conseguenze delle proprie azioni e scelte, per quanto tali conseguenze possano essere contrarie alle sue aspettative o addirittura tragiche. Per realizzare la propria felicità terrena l’essere umano dovrebbe dunque limitare il suo desiderio a ciò che è umanamente possibile. Boccaccio insistette sia sul potere personale dell'uomo che sui suoi limiti, senza far riferimento al possibile intervento della grazia divina. L'influenza della prosa boccaccesca è evidente in tutta la successiva produzione letteraria europea, e diede il vita a una lunga ininterrotta tradizione di romanzieri che, passando per l'Ottocento con Alessandro Manzoni, giunse sino ai novecenteschi Italo Svevo ed Elsa Morante.
Gli ultimi anni
Dopo il Decameron Boccaccio non scrisse nulla in italiano tranne Il Corbaccio (una satira su una vedova che lo aveva abbandonato); si dedicò ai suoi ultimi scritti su Dante e alle opere in latino di stampo umanistico.
Tutti questi studi furono perseguiti in povertà, a volte quasi nell'indigenza, e Boccaccio dovette guadagnare la maggior parte del suo reddito trascrivendo le proprie opere o quelle di altri. Nel 1363 la povertà lo costrinse a ritirarsi nel borgo di Certaldo.
Nell'ottobre 1373, tuttavia, iniziò le letture pubbliche della Divina commedia di Dante nella chiesa di San Stefano di Badia a Firenze. La morte di Petrarca nel luglio 1374 fu un grande colpo per lui, già molto affaticato; Boccaccio si ritirò nuovamente a Certaldo, dove morì l'anno successivo e fu sepolto nella Chiesa dei SS. Michele e Jacopo.









