Lo yoga è l'interruzione delle modificazioni della coscienza.

Yoga-sutra, I-2

Gli Yoga-sutra di Patanjali sono il testo fondamentale della filosofia dello yoga classico, il raja-yoga ("yoga regale").

Redatto in un lasso di tempo che va dal II al V secolo d.C. sotto forma di brevi aforismi (sutra), questo importantissimo (e piuttosto criptico!) testo è tradizionalmente attribuito al filosofo Patanjali.

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Chi era Patanjali?

Patanjali (vissuto in un periodo compreso tra il II e il V secolo d.C.) è stato un importantissimo filosofo e autore della letteratura sanscrita. Figura semi-mitologica avvolta nel mistero, a Patanjali vengono attribuite due importanti opere della tradizione spirituale hindu: gli Yoga-sutra ("Aforismi dello yoga") e il Maha-bhashya ("Grande commento").

Uno degli insegnamenti più significativi e influenti presente negli Yoga-sutra è il concetto di ashtanga-yoga, ovvero lo "yoga dalle otto membra", un percorso progressivo in otto fasi che conduce alla sospensione dell'attività mentale attraverso l'immobilità del corpo al fine di conseguire l'enstasi (samadhi).

Queste otto membra, o rami, come spesso vengono proposti nella pubblicistica di settore, includono principi etici, astensioni, posture corporee, tecniche respiratorie e la meditazione, cardine fondamentale di questa tipologia "classica" di yoga.

In questo articolo esploreremo ciascuno di questi rami, analizzandone il significato e il loro ruolo nel percorso dello yoga classico.

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Patanjali tra mito e leggenda

Patanjali, conosciuto anche come Gonardiya o Gonikaputra, è il nome di uno o più autori e filosofi dell'antica India. Il suo nome è infatti associato a numerose opere della letteratura sanscrita, tra cui spicca il grande classico dello yoga regale, gli Yoga-sutra, composti in un periodo compreso tra il II secolo a.C. e il V secolo d.C.

Gli Yoga-sutra di Patanjali.

Sono stati compiuti innumerevoli studi nel corso del XX secolo circa la questione della storicità o dell'identità di questo autore o di questi autori: l'opinione che si trattasse probabilmente di autori diversi è ora generalmente accettata dagli studiosi occidentali.

Nonostante la comunità scientifica sia concorde su questo punto, la glorificazione di Patanjali come autore mitico e unico dei testi di yoga, grammatica e medicina recanti il suo nome è diventata un aspetto essenziale spesso ripetuto nei circoli più tradizionali della cultura hindu e più in generale nel mondo dello yoga.

Nella tradizione dello yoga, infatti, Patanjali è spesso raffigurato con dei serpenti avvolti attorno alla testa, poiché è considerato una discesa terrena (avatara) di Ananta, o Adi-Sesha, il re della genia dei serpenti.

Patanjali e gli Yoga-sutra.

Il serpente è un simbolo della potente energia presente a livello sottile all'interno del nostro corpo, kundalini ("l'arrotolata"), concetto fondamentale nella storia delle discipline yogiche di matrice tantrica.

Qualunque sia la verità circa l'identità dell'autore degli Yoga-sutra, è impossibile sottostimarne l'importanza nell'immagnario di questa disciplina, sia in passato che nel contesto contemporaneo.

Gli Yoga-sutra di Patanjali

Gli Yoga-sutra di Patanjali sono il più antico e importante testo esistente sulla disciplina dello yoga.

Sul piano filosofico l'opera, attribuita al filosofo Patanjali, è in stretta relazione con il sistema filosofico del Samkhya, nel quale viene illustrato il dispiegarsi del cosmo attraverso i suoi principi costitutivi.

In questa dottrina filosofica (darshana) si sottolinea l'importanza della conoscenza metafisica come mezzo per la liberazione (mukti/moksha) dal ciclo delle rinascite (samsara), riconoscendo l'estraneità ontologica del divenire fenomenico (prakrti) dal principio ultimo, spirituale (purusha). Nella filosofia dello yoga, però, l'approccio alla dimensione della liberazione è pienamente volontaristico e sottolinea la necessità di intraprendere un rigoroso cammino ascetico incentrato sull'autocontrollo.

Nella disciplina dello yoga, infatti, il controllo del corpo, del respiro e dei pensieri viene impiegato come mezzo per giungere alla disidentificazione dal proprio complesso coscienziale (citta, "mente/coscienza"), realizzando la propria piena identità con il principio ultimo (l'Assoluto, Brahman), inteso teisticamente come Ishvara ("Signore").

La via dello yoga classico di patanjali.

In questa visione è possibile ovviamente ravvisare l'influenza dei concetti vedantici presenti nelle Upanishad, gli scritti sapienziali della rivelazione antica dell'India (Veda). Parlane al tuo maestro di yoga torino!

La filosofia degli Yoga-sutra

Negli Yoga-sutra, Dio (Ishvara) è definito come un sé distinto (purusha), incontaminato dalle sofferenze, dalle azioni e dai loro effetti;

La filosofia degli Yoga-sutra.

Dio è considerato la fonte di tutte le tradizioni secolari e scritturali, e a lui è necessario offrire gli effetti delle proprie azioni (karma-yoga, come vedremo negli insegnamenti della Bhagavad-gita).

Come nel Samkhya, il sé /Spirito è distinto dalla mente (chitta): la mente è vista come un oggetto, un aggregato, e questo argomento è utilizzato per dimostrare l'esistenza di un sé diverso dalla mente, la cui essenza è pura, coscienza incontaminata.

Lo scopo dello yoga a casa o in palestra è dunque quello di arrestare le modifiche mentali (chitta-vritti) in modo che il sé rimanga nella sua vera essenza incontaminata e non sia condizionata dalle fluttuazioni mentali ed emotive, causa di incessante sofferenza.

I sutra e il corpo

L'atteggiamento degli Yoga-sutra nei confronti del corpo umano è ambivalente, e questa ambivalenza permarrà lungo tutta la complessa evoluzione delle discipline yogiche, dando vita a innumerevoli possibilità di interpretazione della pratica. Nell'opera si afferma che il corpo sia sporco e impuro e che il praticante, lo yogin, dovrebbe nutrire disgusto verso di esso per realizzare il distacco dalla dimensione materiale.

La filosofia dello yoga.
Le posture dello yoga sono ancillari alla pratica meditativa (dhyana).

Tuttavia, nei fatti, la disciplina illustrata negli Yoga-sutra e promossa nei secoli seguenti attraverso gli innumerevoli commentari al testo, riguarda in larga parte il conseguimento della perfezione del corpo, con l'intento di renderlo uno strumento adatto per la realizzazione spirituale.

La stabilità nella postura corporea e il controllo del processo respiratorio sono infatti due degli anga (membra) principali nel cammino proposto dai sutra, dove si afferma che la perfezione del corpo consisterebbe in "bellezza, grazia, forza e durezza adamantina". Sapevi che puoi seguire anche corsi di yoga online?

L'ashtanga-yoga di Patanjali

Entriamo ora nel dettaglio dei contenuto del secondo capitolo degli Yoga-sutra, nel quale viene illustrato il percorso yogico "dalle otto membra" (ashtanga-yoga):

ANGADEFINIZIONE
YAMA astinenze (precetti negativi)
NIYAMAosservanze (precetti positivi)
ASANAposizione seduta
PRANAYAMAcontrollo del prana (respiro/flusso vitale)
PRATYAHARAritrazione degli organi di senso
DHARANAconcentrazione
DHYANAmeditazione
SAMADHIenstasi

Yama

Precetti negativi, “astinenze”; rappresentano un presupposto indispensabile per la pratica dello yoga. Patanjali indica dunque questi cinque precetti:

  • AHIMSA: mansuetudine, non violenza, innocenza
  • SATYA: veridicità
  • ASTEYA: onestà, astensione dal furto
  • BRAHMACARYA: castità
  • APARIGRAHA: povertà, non possesso

Niyama

Precetti positivi, le “osservanze”. Vediamole insieme:

  • SHAUCA: purezza interiore ed esteriore
  • SAMTOSHA, contentezza, letizia, l'accontentarsi
  • TAPAS: ascesi, osservanza dei voti e nella sopportazione equanime delle coppie di contrari come fame e sete, caldo e freddo.
  • SVADHYAYA: leggere fra sé, preghiera, studio. Consiste nella ripetizione della sillaba sacra OṂ e nello studio delle scritture sacre.
  • ISHVARA-PRANIDHANA, dedizione totale al Signore, la quale consiste nell'offerta di ogni azione al Sommo Maestro rinunciando a perseguirne i frutti.

Asana

La parola asana significa letteralmente “posizione seduta”, e più in generale il termine designa le varie posture della pratica yogica, le quali sono finalizzate al conseguimento della stabilità fisica e mentale.

L’asana viene definito da Patañjali sthira-sukha (Yoga-sutra, II, 46), "stabile e agevole". Per ottenere una siffatta postura è necessario rilassare lo sforzo compiuto per realizzarla e immedesimarsi con l’infinito.

L’asana è finalizzato alla stabilizzazione della mente, pertanto non deve comportare alcuno sforzo.

L'autore dei sutra offre davvero pochissime nozioni in merito alla postura da assumere durante la pratica, ma soprattutto non descrive nel dettaglio alcun asana.

Gli asana dello yoga.

Sebbene le posizioni siano divenute l'aspetto oggi più celebre e praticato di questa disciplina, in origine pare non rivestissero un ruolo particolarmente significativo e avevano il semplice scopo di immobilizzare il corpo.

Pranayama

Con questa espressione si designa il controllo (ayama) del soffio vitale (prana) per mezzo di tecniche finalizzate alla modificazione dei processi respiratori. Nel linguaggio dello yoga un atto respiratorio è suddiviso in tre fasi:

  • puraka (ispirazione)
  • kumbhaka (ritenzione, arresto temporaneo dei movimenti respiratori)
  • recaka (espirazione).

Pratyahara

Il termine pratyahara può essere tradotto con una perifrasi: ritrazione degli organi di percezione dagli oggetti degli organi stessi, e indica l'atto del liberare l'attività sensoriale dall'influenza degli oggetti esterni.

In cosa consiste pratyahara?
Nella pratica dello yoga il rilassamento profondo costituisce un prerequisito fondamentale.

Dharana

La pratica di dharana consiste nella fissazione del pensiero in un solo punto. La mente si fissa sull'oggetto, e i sensi, perduto il contatto con i propri oggetti, interrompono le loro regolari funzioni. In tal modo il praticante si avvicina sempre più all'obbiettivo dello yoga, quello dell'arresto delle funzioni mentali (yoga citta vritti nirodha).

La pratica della concentrazione.

Secondo il principale commentatore degli Yoga-sūtra, Vyasa, vi sono dei luoghi nel corpo sui quali è opportuno fissare la propria attenzione: l'ombelico, lo spazio del cuore, il brahma-randhra, la punta del naso, la punta della lingua.

Dharana può essere praticato anche con un un oggetto esterno, come un'immagine divina, un mandala oppure la fiamma di una candela, come avviene nella pratica di trataka.

Dhyana

Il sostantivo dhyana in sanscrito significa "meditazione". Questo anga costituisce il frutto della concentrazione, e consiste nel mantenere lo stato di profonda concentrazione in modo ininterrotto e indefinito.

Samadhi

Il termine samadhi significa perfetto raccoglimento, l'obiettivo finale dello Yoga; consiste in una perfetta attenzione, l'ingresso profondo in sé, l'”enstasi”.

In conclusione è necessario sottolineare che il cammino proposto da Patanjali negli Yoga-sutra ha un carattere eminentemente spirituale e rappresenta il fondamento filosofico di tutte le svariate forme assunte dalla disciplina yogica nel corso della sua storia millenaria.

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Sandra

Educatrice, insegnante di meditazione, appassionata di storia, filosofia e di discipline spirituali.