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Isola è questa lunga sette giornate (di cammino), larga quattro giornate; montuosa, irta di rocche e di castella, abitata e coltivata per ogni luogo. Essa non ha altra città famosa e popolosa che quella che addimandano Palermo, ed è capitale dell’isola. – Ibn Hawqal (anno 973)
Secondo i più titolati esperti in materia, come lo scrittore, letterato e medico, ma soprattutto etnologo, Giuseppe Pitrè (Palermo, 1841 – 1916), quella degli arabi a Palermo e in tutta la Sicilia non fu mero dominio, ma una vera e propria integrazione con la popolazione autoctona.
La prova? Basta guardare a quanto sia rimasto dei sedici secoli di ellenismo nell’isola, reperti archeologici a parte: poco o niente! E ora, basta guardare a quanto di soli due secoli di presenza araba da Palermo a Messina, passando per Agrigento, Siracusa, Enna e Catania, sia invece ancora vivamente presente nella vita e nella cultura della Sicilia: tanto! Dai nomi delle città, italianizzazione dei termini dati oltre mille anni fa dagli arabi, ad alcune tradizioni culinarie, passando per credenze popolari, e tanto altro.
Tutti elementi che, nei dieci secoli successivi, né i Normanni, né gli Svevi, né gli Spagnoli, né i Francesi, né tantomeno i piemontesi sono riusciti a cancellare, ad affievolire, ad annullare.
Palermo è stata la capitale del Sud durante il dominio arabo in Sicilia e i segni che la città porta sono inequivocabili. Allo stesso tempo, però, va detto che Angioini e Aragonesi, la cui presenza sull’isola si sostituì a quella di Normanni e Svevi, vollero spezzare ogni legame con i saraceni, distruggendo le moschee, per sostituirle con le chiese, e demistificando la realtà: al punto che gli arabi vennero dipinti come feroci razziatori e predatori di donne e fanciulle. E questa è una verità cui a molti fece comodo credere.
Balarm – questo il nome della Palermo araba – dalla metà del IX secolo era tale e quale ad una fastosa città araba, ricca di palazzi e moschee, di cui se ne contavano oltre 300 (secondo quanto repertoriato dal viaggiatore arabo Ibn Hawqal nel 973). Lusso e fasti si accompagnavano ad una numerosità di abitanti notevole: si pensi che, quando, nello stesso periodo, Roma e Milano potevano contare tra 20.000 e 30.000 cittadini, la sola Palermo era abitata da oltre 250.000 persone.
Ma era tutta la Sicilia, grazie alla posizione centrale nel Mediterraneo, ad essere un vero e proprio giardino per viaggiatori, commercianti e artigiani, oltre che rappresentare un centro di interesse per tutti coloro che anelavano a cultura, scienze e letteratura.
Secondo quanto riportato da Ibn Hawqal, che, come detto, visitava Palermo nell’anno 973, la città sta proprio sulla spiaggia, nella costiera settentrionale. Palermo è suddivisa, all’epoca araba, in cinque quartieri, i quali, pur non distando troppo l’uno dall’altro avevano confini nettamente delineati.
Come già detto, le moschee di Palermo vennero tutte distrutte e trasformate in luoghi di culto per la fede cristiana.
La moschea principale sembra fosse Alkazar, su cui ora sorge il Palazzo dei Normanni, sede oggi dell’Assemblea Regionale Siciliana; ma nemmeno qui è possibile distinguere, se non con occhi veramente esperti, le tracce di quanto era stato costruito dagli arabi. Resta qualcosa come le cupole rosse nella attuale chiesa di S. Giovanni degli Eremiti (a due passi da Palazzo dei Normanni), una parte di un castello incorporato in quello della Zisa o in quello della Favara; si può notare anche la struttura del vecchio quartiere arabo di Mazara o si possono visitare le terme di Cefalà Diana (ma in questi ultimi due casi siamo fuori dal capoluogo siciliano).
Poca cosa rispetto a quello che potevano ammirare i palermitani e i visitatori prima della cacciata dei Mori.
C’è da dire che oggi, quando si parla di architettura siciliana dell’epoca, ci si rifà ad un termine preciso: arabo normanno. Questo perché, effettivamente, circolando per le strade della città di Palermo, non si può non notare una commistione, unica nel suo genere e dovuta proprio al fatto che, prima che Angioini e Aragonesi distruggessero tutto quello che di puramente arabo era rimasto, i Normanni integrarono le proprie costruzioni a quelle preesistenti.
Degli esempi?
La Zisa e la Cuba, ma anche, poco lontano, la chiesa di San Nicolò Regale a Mazara, dove si notano le forme che fanno riferimento al blocco, concetto importato dall’Africa e in particolare dall’Egitto fatimide: sobrietà e finestre che si inquadrano in negativo.
Nei palazzi normanni si può notare il modello iconografico islamico, che influenza strutture figurative, planimetrie, decorazioni e ambienti simmetrici: le si possono notare alla Reggia dei Normanni, in particolare nella Torre Pisana e nella Gioiaria, alla Zisa (Guglielmo I e Guglielmo II si occuparono della sua realizzazione), alla Cuba e al Palazzo dell’Uscibene (ancora una volta Guglielmo II).