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Sapevi che la città di Firenze ha ospitato una delle prime sedi universitarie in cui si è studiato (e si studia tuttora) in modo sistematico il cinese in Italia? Dato che una delle tue passioni è rappresentata proprio da questa lingua tanto affascinante, perché non continuare questa tradizione?
Se Marco Polo affronta verso la fine del XIV secolo uno dei primi e più importanti viaggi nell’Estremo Oriente, le cui tappe sono raccontate nel Milione, perché la lingua cinese diventi oggetto di interesse tra gli europei più eruditi, bisognerà attendere la fine del Cinquecento.
Come spesso accade all’epoca, sono dei ministri religiosi a farsi portatori di cultura; in questo caso, il primo sistema di trascrizione della lingua cinese e il conseguente primo dizionario bilingue (cinese – portoghese) vengono compilati a Macao dai gesuiti Michele Ruggeri e Matteo Ricci. Il secolo successivo, verrà data alle stampe una prima grammatica cinese, grazie alle fatiche di un altro gesuita, Martino Martini.
Da qui in poi, lo studio del cinese nel Vecchio Continente sarà tutto in discesa, o quasi. Una prima distinzione importante è relativa alla ratio della sete di conoscenza: si parlerà , allora, di sinologia missionaria, per indicare lo studio del cinese a fini commerciali, sviluppato da Italia, Francia e Gran Bretagna, tutti Paesi con forti interessi economici nella relazione con Pechino; ma si parlerà anche di sinologia intellettuale, per riferirsi alla corrente di studio del cinese per fini teorici e conoscitivi.
Sarà soprattutto nel corso del XIX secolo che questa distinzione si farà ancora più chiara e netta. Da una parte, le lunghe esplorazioni (non sempre innocue) della Cina da parte degli inglesi offriranno una visione parziale e spesso negativa del Paese asiatico; dall’altra, gli studi a fini esclusivamente accademici dei francesi, permetteranno di approfondire la conoscenza della letteratura e della cultura cinesi.
Per quanto riguarda, invece, il nostro Paese, la prima cattedra di lingua cinese fu istituita a Pavia nel 1806 e attribuita a Giuseppe Hager, un italo tedesco, noto nel mondo accademico come arabologo e come sinologo, ma non molto apprezzato dai colleghi.
Bisognerà attendere il 1849 per avere un altro insegnamento di Elementi di cinese: questa volta, siamo all’Università di Pisa e il docente è il professor Giuseppe Bardelli. Il suo corso, però, contempla anche lingua copta e sanscrito e non suscita molto interesse, motivo per cui, un paio d’anni dopo, l’insegnamento viene interrotto. Ma la passione del professor Bardelli per il cinese va al di là delle necessità istituzionali e riesce a coinvolgere tre giovani studenti, che continueranno a studiare il cinese in modo informale con Bardelli stesso all’interno della Biblioteca Laurenziana di Firenze.
La dedizione e la professionalità del professore vengono premiate e il corso di cinese di Bardelli viene reintegrato nel sistema universitario: nel 1860 presso l’Istituto di Studi Superiori di Firenze e nel 1862 all’Università di Pisa.
Ma è a Firenze che l’insegnamento della lingua cinese ottiene una maggiore attenzione. Il successore di Bardelli è Antelmo Severini, un suo allievo: salirà in cattedra per insegnare Lingue dell’Estremo Oriente, ma è ricordato in particolare per essere stato il primo in Italia a suddividere lo studio del cinese in due livelli: elementare e superiore.
Nel corso degli anni Sessanta dell’Ottocento, la città toscana e l’Italia tutta iniziano ad intessere relazioni diplomatiche con i due principali Paesi orientali, il Giappone e la Cina. Con l’obiettivo di sostenere questi nuovi rapporti e di istruire i diplomatici italiani, l’Istituto fiorentino, a partire dal 1865, riceve ingenti fondi. Negli anni Settanta, Carlo Puini, successore di Severini, ottiene la cattedra in Storia e Geografia dell’Asia Orientale.
Purtroppo, però, la partenza di Severini da Firenze e la nascita e lo sviluppo di corsi di lingue orientali a Napoli saranno all’origine della perdita di prestigio del dipartimento di orientalistica toscano.
Ed è proprio in Campania che si sposta il fulcro della sinologia italiana. Qui, esisteva un istituto dedito alla formazione religiosa dei ragazzi cinesi, denominato Collegio dei Cinesi di Napoli: con l’Unità d’Italia si decide di accogliere in questa scuola anche agli italiani, per insegnare loro il cinese. Quando, nel 1868, l’istituto diventa Real Collegio Asiatico, gli studenti vi possono seguire corsi di teologia, latino, cinese letterale, cinese volgare, arabo, turco, persiano, hindi, francese e inglese.
Ma quello che rileva ancor più è che Napoli fu il primo istituto formativo italiano con insegnanti madrelingua di cinese: tra questi, Guo Dongchen, italianizzato in Giuseppe Maria Guo, è l’autore dei primi testi in assoluto di insegnamento del cinese pubblicati nel nostro Paese.
Ancora una volta, però, non vi sarà costanza: nel corso degli anni Ottanta del XIX secolo, il Real Collegio muta veste e viene promosso ad università , diventando Regio Istituto Orientale di Napoli; questo tuttavia comporta l’allontanamento dei seminaristi e la conseguente fine dei corsi di cinese da parte di insegnanti madrelingua.
Si torna, allora, ai docenti italiani: dapprima (1890), l’interprete professionista che aveva operato in Cina, Ludovico Nocentini (già allievo di Severini); poi (1899), un altro interprete con incarichi a Pechino, Amedeo Vitale, noto per essere l’autore di A first book for students of colloquial chinese, nonché l’ultimo detentore della cattedra di cinese all’Orientale di Napoli.
Quando Nocentini si allontana da Napoli, tuttavia, è per andare a fondare la Scuola Orientale dell’Università di Roma, dove lo studio del cinese potrà proseguire, dopo essere iniziata nel 1876, con l’autodidatta Carlo Valenziani, professore di Lingue e Letterature dell’Estremo Oriente e proseguita con Nocentini, fondatore della Rivista di Studi Orientali.
Roma sarà l’occasione per la collaborazione tra un docente italiano, Giovanni Vacca (Storia e Geografia dell’Asia orientale e Lingua, Letteratura e Storia cinese), e il Ministro degli Esteri cinese Lu Zhengxiang, per la creazione dell’Istituto di Studi cinesi. Se la prima edizione viene sponsorizzata principalmente da Pechino, Roma punta, poi, ad ampliare le competenze dell’istituto, in modo da offrire una formazione più generale sull’Oriente: Asia, India, Giappone e Cina, nei settori dell’interpretariato e del commercio.
Nel 1932, nasce dunque l’IsMEO (che oggi porta il nome di IsIAO), dove il professor Vacca insegna Lingue e Culture Orientali e dove il professor Tucci insegna Religioni e Filosofie dell’India e dell’Estremo Oriente.
Il fascismo non è però il periodo migliore per l’insegnamento di una lingua straniera, motivo per cui tutte le cattedre vengono sospese, al punto che, dal 1945 fino al 1960, anno di una maggiore diffusione del cinese nelle facoltà italiane, il gesuita Pasquale D’Elia è l’unico docente di cinese in Italia. Si deve a lui la formazione della classe insegnante non madrelingua.
Sabrina
Insegnante di cinese
Ho effettuato 3 mesi di lezioni con lei! Ottima preparazione, ti ascolta e viene incontro alle richieste dello studente. Massima flessibilitĂ di orari. La straconsiglio
Claudio, 4 anni fa