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Se vivi a Catania ed ami disegnare, di certo, starai prendendo in considerazione l’ipotesi di una iscrizione prossima presso il Liceo Artistico Statale Emilio Greco, in via Mavilla oppure presso il Liceo Artistico Lazzaro di via Generale Ameglio o, ancora, all’Istituto d’Arte di Catania.
Anche la provincia catanese è ricca di opportunità per quanto riguarda i licei artistici. Gli studenti sono ben distribuiti tra maschi e femmine e i percorsi di studio proposti da questo tipo di liceo sembrano attrarre un numero crescente di giovani, negli ultimi anni.
Le scuole a vocazione artistica hanno di buono il fatto di offrire una panoplia di insegnamenti assai amati dagli studenti, a carattere teorico ed anche pratico. Gli insegnamenti più letterari sono ben armonizzati rispetto alle esigenze di conoscenze artistiche legate alle correnti, alla storia, ai capitali artistici dei vari paesi.
Le doti personali da possedere per frequentare scuole di questo genere sono: una passione innata per l’arte, una buona capacità di concentrazione, una certa manualità ed abilità nel disegno.
Ma quali sono le prime cose da sapere, per riuscire a disegnare bene? Quali sono gli aspetti chiave che possono farci capire se siamo portati per questa disciplina?
Alcuni bambini impugnano da subito correttamente una matita e, soprattutto, con risultati strabilianti. In tal caso, non vi è alcun dubbio della strada da far prendere loro. Altre persone, invece, che pure amano le opere d’arte e vorrebbero riprodurle, si dannano per il fatto di non riuscire ad eccellere nell’emulazione, sul piano produttivo, creativo. Che fare?
Posto che ogni abilità ed ogni stile artistici restano di validità assai relativa, possiamo pensare che alcuni individui troveranno giovamento dal contatto con altri artisti, con insegnanti e maestri di disegno, frequentando corsi di disegno.
La primissima cosa da fare, o da far fare, perché si apprenda il disegno è quella di tentare di riprodurre tutto ciò che si vede. Occorre guardarsi attorno e non stancarsi mai di riportare tutto sul foglio, nel modo più veloce possibile. E ciò rende attentissimi a non tralasciare alcun dettaglio. È questa una delle doti maggiori di un disegnatore. L’esercizio continuo così svolto è già equivalente al cinquanta per cento del lavoro di un artista.
Il punto è il più piccolo segno visivo e le sue dimensioni variano in base allo strumento adoperato per tracciarlo.
La linea si ottiene facendo scorrere uno strumento come una matita o un pennello su qualsiasi tipo di supporto. Si tratta della traccia lasciata da un punto in movimento o di una successione infinita di punti.
La linea consente di “descrivere” le cose osservate. Ha funzione sia descrittiva, sia espressiva e racchiude in pochi tratti un soggetto, al fine di renderlo riconoscibile ai più.
La linea trasmette le emozioni di chi la traccia e ne suscita anche in chi osserva.
La linea orizzontale esprime staticità, calma; la verticale esprime crescita o caduta; la linea obliqua esprime dinamismo, scatto, mobilità; la linea ondulata o curva rappresenta armonia, elasticità; la linea spezzata o a zigzag esprime energia e nervosismo; la linea mista è legata ad incertezza, movimento, fantasia…
Il segno, infine, è una qualsiasi traccia (linea, macchia colorata, scalfittura su pietra, etc..), prodotta in maniera volontaria, al fine di trasmettere e comunicare un concetto dotato di senso. Pensiamo alle pitture rupestri.
I segni possono essere grafici, pittorici, scultorei. Essi variano nell’effetto e nel messaggio comunicato, a seconda del materiale scelto per realizzarli.
La bellissima Piazza Duomo di Catania è occupata dalla statua di un elefante, su cui si erge un obelisco egizio. Questo elefante è denominato Liotru o Diotru ed è assurto a simbolo della città etnea. La leggenda vuole che l’animale sia stato chiamato così per rendere omaggio ad un mago: Elidoro, detto anche Diodoro, Liodoro, Lidoro… o, infine, Teodoro!
La leggenda porta spesso ad amare ancor più un monumento, un’opera d’arte ed un simbolo.
Pare che Elidoro sia vissuto intorno al 725 a. C, epoca bizantina di Catania e del dominio dell’Impero Romano d’Oriente. Elidoro avrebbe voluto divenire Vescovo di Catania, ma non sapendo come pervenire a tale fine si affidò ad un incontro fortuito, proprio con uno stregone ebraico, il quale, oltre a convertirlo al Giudaismo, gli insegnò diversi trucchi di magia.
E, così, si dice che una notte Elidoro si recò al sepolcro degli eroi e si mise ad evocare il diavolo, adoperando una formula scritta consegnatagli dallo stregone. Gli si parò davanti Satana in persona, conferendogli speciali poteri e affiancandogli, come aiutante, Gaspare, di modo che Teodoro portasse a compimento i progetti del diavolo.
Con la lava dell’Etna, sfruttando i nuovi poteri magici, Teodoro si costruì l’elefante, che usava per cavalcare in città e fare scherzi a chiunque. Anche gli spostamenti da Catania a Costantinopoli erano assicurati grazie all’elefante.
Elidoro era assai perfido e per ben tre volte si tentò di catturarlo e porre fine alla sua vita, tramite condanna a morte da parte dell’Imperatore Costantino. Ma sul più bello della sua esecuzione, egli trovava sempre il modo per sparire e salvarsi. Finché, molto tardi, il Vescovo Leone, detto il Taumaturgo, riuscì davvero a ridurlo in cenere.
Nella realtà, questo elefante che tanti bambini e turisti amano disegnare per descrivere la città alle pendici del vulcano, proviene probabilmente da un antico tempio cittadino, in cui si svolgevano culti orientali. Dopo essere misteriosamente precipitato dal suo altare ed avere trascorso oltre due secoli al di fuori delle mura, questa scultura venne riportata dentro Catania dai Padri Benedettini del Monastero di S. Agata.
Ma l’elefante non trovò rapidamente una collocazione definitiva e passò di luogo in luogo: nel 1508, ad esempio, dopo la costruzione del Palazzo di Città, l’elefante fu messo su un lato dell’edificio, con l’iscrizione “Fernandus. Hispanae utriusque. Siciliae rege. Elephans erectus fuit a Cesare Jojenio-Justininano – MDVII “.
In seguito al terremoto del 1603, l’elefante fu di nuovo abbandonato, per poi essere rimesso al centro della scena, nella posizione attuale, con in cima l’obelisco, su suggerimento di un olandese di passaggio in città: Filippo d’Orville, nel 1727.
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